Estratto dal romanzo “È caduto un pilota nel giardino”

Estratto dal romanzo “È caduto un piota nel giardino”.

Capitolo 24

22 settembre 1988, giovedì – Inizia l’autunno

Edoardo stava lavorando alla sistemazione interna della serra che avevano fatto costruire nel lato più soleggiato del giardino. Il tempo si presentava per il terzo giorno di fila piovoso e uggioso; più da fine che da inizio autunno.
Vide la Clubman di Carlotta che entrava nel cortile facendo schizzare l’acqua dalle pozzanghere. Prese un ampio ombrello di tela verde e le andò incontro.
«Ti aiuto» le disse dandole un bacio.
Mantenendo l’ombrello con una mano, aprì le piccole portiere a battente nel retro dell’auto. Riuscì con la mano libera a sollevare due delle tre borse piene di prodotti gastronomici presenti nel bagagliaio.
«Molto bene. Prova a sollevare l’altra con i denti» lo prese in giro Carlotta che stava osservato il tentativo di Edoardo di fare tutto da solo.
«Va bene. Prendila tu e chiudi le porte» si arrese lui.
«Il vino lo vai a comprare dopo? Dovresti prendere dello spumante champenois» chiese Carlotta. «E anche un passito di carattere. Voglio preparare qualcosa di adatto alla stagione.»
«Nel pomeriggio andrò.»
Edoardo appoggiò le borse sul tavolo vicino a una raccomandata.
«È appena arrivata» disse porgendogliela.
Carlotta la prese e lesse il nome del mittente: «Avvocato Bondone, Corso Venezia, Milano.» Strappò il lato corto ed estrasse il foglio dattiloscritto. Scorse le righe inizialmente senza dire nulla, poi il viso le si aprì in un largo sorriso.
«È l’avvocato di Marcello. Nessun problema alla separazione e al successivo divorzio in forma concordata. Marcello ha dato mandato completo all’avvocato di procedere nel modo più semplice e lineare possibile.»
«Benissimo. Allora sotto con la serra e con il lavoro nei campi: il mio stipendio da pilota è pochino per mantenere questa casa. Dobbiamo accelerare la costituzione dell’azienda agricola.»
«Sai che quando sarò libera di risposarmi probabilmente avrò quarantacinque anni? Mi vorrai così vecchia?» chiese Carlotta quasi sussurrandoglielo all’orecchio.
«Intanto io avrò raggiunto i cinquanta, quindi sarà come adesso. Forse sarai tu che cercherai qualche uomo vigoroso e prestante, da far lavorare nei campi e per soddisfare le altre tue esigenze.»
«Ho altre esigenze? Non mi risulta. Quando uno ha lavorato nei campi e nelle future vigne, ha sistemato l’orto, ha tenuto pulita e in ordine la serra, ha tagliato il prato, ha potato la siepe, ha curato gli alberi e ha tenuto efficienti gli impianti della casa… io non ho più altro da chiedere.»
«Pensaci bene.»
«Potrebbe fare i turni di guardia in giardino a difesa della proprietà…»
«E basta?»
«Ci sarebbe da pulire l’auto, almeno una volta la settimana, e potrebbe imparare a gestire la lavanderia. E già che c’è anche la stireria.»
«Mi sembrava che ci fossero anche delle altre incombenze, ma si vede che si sono esaurite. Peccato perché erano le sole che mi piacesse portare a termine.»
«Potresti rammentarmele? Al momento non mi sovvengono.»
«Strano, perché le richiedevi anche con una certa frequenza.»
Carlotta, che intanto aveva riempito due calici con del Pinot spumante, si avvicinò e gliene porse uno: «A la santé» disse, facendo tintinnare i due calici.
«Vive la différence» rispose lui.
«Mi pare di ricordare… un aiutino?»
Edoardo bevve un sorso e la baciò con le labbra e la lingua fresche e profumate dal Pinot.
«Forse ho capito… insisti.»
Edoardo la baciò di nuovo, poi le alzò la maglia, le slacciò il reggiseno e le baciò e accarezzò il seno.
«Credo di ricordare…»
Edoardo bevve un altro sorso di Pinot e le ripropose il senso del fresco sui capezzoli.
«Credo che mi stia sovvenendo…»

Le tolse le scarpe e le sfilò i jeans. La prese tra le braccia e la trasportò sul divano della vicina sala. Le tolse le mutandine e, dopo aver bevuto un altro sorso, finendo il contenuto del calice, appoggiò la bocca sulle altre più intime labbra di lei. Passò la lingua lungo il solco ricevendone uno schiudersi dei larghi, carnosi petali esterni. Insinuò la lingua più internamente, rilasciando un poco del fresco Pinot, e anche i più delicati petali interni si aprirono allo stimolo. Passò e ripassò sul piccolo omino posto a guardia del sentiero d’accesso alla valle delle delizie. Carlotta reagì allargando le cosce, poi afferrò le braccia di Edoardo e lo tirò a sé per far aumentare la pressione della sua bocca sul punto d’innesco della fiammata che arrivò di lì a poco mentre diceva: «Ora ricordo, amore… ora ricordo.»
Dopo una breve pausa, durante la quale riprese le funzioni normali continuando ad accarezzargli dolcemente la testa e le spalle, fu la volta di Edoardo di rammentarsi delle attenzioni che Carlotta poteva riservargli. Le si mise a cavalcioni con le ginocchia sulla seduta del divano e appoggiò la faccia sulla spalliera. Lei gli scivolò da sotto le gambe per riuscire a prendere un sorso dal bicchiere lasciato ai piedi del divano e poi ritornò con mosse sinuose nella stessa posizione semisdraiata. Gli restituì la sensazione del vino fresco, accogliendogli il sesso nella bocca.
Edoardo non si mosse e lasciò che fossero la lingua e le labbra di Carlotta a portarlo verso l’apice del piacere. Venne in silenzio e con gli occhi chiusi, concentrandosi sulla sensazione delle pressioni date dalle deglutizioni di Carlotta che gli teneva con dolce pressione una mano sui testicoli inturgiditi, come a spremerne tutto il succo.

Credevo di ricordarlo bene, ma è come se fosse sempre la prima volta, pensò mentre si rilassava sulla spalliera del divano.

***

Carlotta pesò due etti di farina di castagne e uno di farina bianca. Li miscelò in un recipiente unendo cinquanta grammi di zucchero e una bustina di lievito per dolci. Aggiunse due cucchiai di cacao amaro in polvere e cinquanta grammi di cioccolata fondente ridotta a pezzettini. Scolò l’uvetta sultanina che aveva messo a ammollare in acqua tiepida e la unì al composto. Anche una manciata di pinoli finì nel contenitore. A questo punto vi ruppe tre uova intere e vi versò cento grammi di olio di semi. Con il cucchiaio mescolò con pazienza aggiungendo latte fino a quando il composto non ebbe una consistenza tale che, rovesciando il recipiente, ne sarebbe colato fuori lentamente. Come il viscoso materiale: “Blob – Fluido mortale” di cinematografica memoria che le veniva in mente quando lo preparava.

Potremmo aprire una vendita diretta dei nostri prodotti e proporre anche le crostate e i dolci, pensava Carlotta mentre lavorava la torta. Ma forse ci saranno delle altre regole da rispettare… devo chiedere il parere di Edoardo.

Aiutandosi con il cucchiaio, mise il composto in una teglia imburrata di capacità tale da non fargli superare lo spessore di tre centimetri. tre centimetri e mezzo e di avere ancora sponda per la lievitazione. Introdusse nel forno, che aveva riscaldato a centottanta gradi.

Altrimenti le preparerò in esclusiva per il mio amore.

Prese dal frigo una bottiglia di panna fresca e ne versò centoventicinque centilitri in una ciotola. La lavorò con la frusta, che era stata messa anch’essa a raffreddare, aggiungendo un cucchiaino di zucchero a velo. Smise quando la consistenza fu quella di una montatura densa. La ripose nel frigorifero.

Il profumo della torta scivolò fuori dal forno e arrivò a bussare ai recettori dell’olfatto di Edoardo che a loro volta attivarono le ghiandole salivari.
«Cosa mi prepara il mio amore di cuocherina?» chiese entrando in cucina. «Una tortina per riscaldare la giornata?»
«Niente che tu possa arraffare adesso» rispose Carlotta spingendolo fuori dalla stanza. «Forse stasera una fettina te la farò assaggiare.»
«Ci conto.»
«Contaci, e adesso vai a fare le tue cose e ricordati del vino.»
«Vado. Tornerò nel pomeriggio.»
Carlotta lo baciò e ritornò a mettere attenzione alla cucina.

Dopo quaranta minuti infilò uno stuzzicadenti nel centro della torta per controllarne la cottura. Spense il forno e lasciò la torta a raffreddare.

***

Edoardo si avvicinò al camino che si trovava nel mezzo della parete principale della zona giorno. La grande cappa, sostenuta da una massiccia architrave in legno di castagno, prometteva, in caso di suo utilizzo, di mantenere la sala sgombra dal fumo.
«Sembra già inverno. Penso che preparerò un bel fuoco.»
«Sono d’accordo» rispose Carlotta dalla cucina. «Sai come fare?»
«Ragazza, mi chiamavano flambé da tanto ero bravo.»
«Banana flambé? Sì?»
«Hai colto la sostanza. Brava.»
«Ho colto e raccolto e intendo farlo ancora per tanto tempo. E tu hai raccolto la legna?»
«È tutto pronto: appiccio per dirlo alla napoletana.»
«Bravo» disse Carlotta. «Tra poco sono da te.»
«Allora vado subito a farmi una doccia, così ti lascio poi il campo libero. Ci mettiamo la tuta?»
«Sono d’accordo per la tuta, voglio stare comoda e godermi il fuoco» confermò Carlotta. «Vai pure prima tu. Ho ancora qualcosa da preparare.»

Edoardo andò in bagno. Aveva chiesto della tuta perché voleva mettere nella tasca di quella di Carlotta una sorpresa: un anello che aveva comprato per lei. Si fece una rapida doccia e indossò i confortevoli capi che utilizzava solo in casa. Infilò i piedi in un paio di morbide pantofole.
Aprì il cassettone del comò dove sapeva che Carlotta conservava la biancheria e cercò i pantaloni della sua tuta. Infilò la scatolina in una delle tasche. Ripiegando l’indumento nella posizione originale si accorse di qualcosa che si era scoperto per il suo rimestare. Contro il fondo del cassetto, in bella fila, c’erano tre bamboline di stoffa, di fattezza semplice, come quelle che le mamme contadine facevano alle loro figlie riempiendole di bambagia o di scampoli di stoffa. Incuriosito le guardò meglio. Notò che tutte avevano una pezza imbastita sul ventre e che erano uguali nelle forme, ma che differivano in alcuni particolari. La faccia di una aveva disegnati capelli, baffi e occhi scuri; quella di un’altra aveva occhi verdi e capelli castano chiaro e quella dell’ultima aveva occhi e capelli castano scuro. Due bamboline recavano, sulla parte che rappresentava il corpo, il disegno di pantaloni e camicia, mentre sulla terza sembrava che fosse stata disegnata una tuta con delle grosse tasche.

Sembra una tuta di volo.

Gli facevano una strana impressione, non era un appassionato di magia e non s’interessava di pratiche esoteriche, ma gli ricordarono le bamboline erano utilizzate nella magia vudù, delle quali aveva letto qualcosa anni prima. Prese con cautela quella con il disegno della tuta di volo e con gli occhi e i capelli castano.

Come me. Possibile che…?

La pezza di stoffa sul ventre era appena appuntata; tirandone un lembo si allentò a sufficienza per permettere di vederne il contenuto: una ciocca di capelli. Gli sembrarono proprio come i suoi.

«Sei pronto?» La voce di Carlotta lo distolse dai suoi pensieri. Richiuse in fretta il cassetto, ma prima tolse le bamboline, le avvolse in una maglietta e le prese con sé.
«Arrivo» rispose, scacciando i pensieri cupi che lo stavano catturando.
«Ho preparato un tavolino basso vicino al caminetto. Senza sedie. Ci metteremo sul tappeto, vicino al fuoco, usando i cuscini come appoggio. Tu pensa al vino che io arrivo».

Carlotta controllò la torta. Le sembrò sufficientemente riposata da poter essere servita. Sarebbe stata più buona il giorno dopo, ma poteva andare. Si dedicò all’altro piatto che aveva in mente di preparare.

Tritò finemente una mezza cipolla che mise a soffriggere in un cucchiaio d’olio extra vergine toscano, suddivisa, in due piccoli tegamini antiaderenti. Quando fu imbiondita aggiunse la sua casalinga salsa di pomodoro profumata al basilico. Lasciò cuocere a fuoco basso: sarebbero serviti una decina di minuti.

Ho giusto il tempo per fare la doccia e infilarmi la tuta.

Usci dalla cucina e si diresse nel bagno.

Edoardo nascose la maglietta con le bamboline dietro alla piccola scorta di legna a lato del caminetto, poi andò in cucina.
Estrasse dalla parte bassa del frigorifero una bottiglia di Spumante brut Classese dell’Oltrepò.

«Sono pronta per un aperitivo» disse Carlotta entrando nella sala. Edoardo la guardò e dimenticò le bamboline. Il fascino della donna era accentuato dalla semplicità della leggera tuta, dello stesso colore castano dei capelli, che si appoggiava morbidamente sul corpo. Ai piedi calzava delle babbucce rosse che gli sembrarono in nuance con il colore delle labbra. Un leggero girocollo con un pendente che recava incastonato un piccolo rubino seguiva la forma dello scollo.

«Allora? Non c’è un gentiluomo che riempia il bicchiere a una signora?»
«Scusami. Mi ero incantato.» Edoardo si affrettò a stappare la bottiglia, riempì i due flûte curando di non far debordare la schiuma e ne offrì uno a Carlotta.
«Mantienilo al fresco e non finirlo. Mi servono cinque minuti» disse Carlotta correndo in cucina.

Le quattro uova che estrasse dal frigorifero erano state prodotte quella mattina dalle gagliarde galline della produttrice Angela. Finirono adagiate delicatamente nei tegamini, facendo attenzione a mantenere integri i tuorli, negli spazi tra il sugo che aveva preparato apposta. Terminò la cottura dell’albume e spense i fuochi. Una presa di sale e un’abbondante macinata di pepe nero completarono il piatto.
Portò i tegamini su di un vassoio insieme a quattro grosse fette di pane tagliate da una pagnotta tipica dell’Oltrepò, con la mollica leggera e la crosta sottile.

«Pronte le uova al purgatorio per il mio diavoletto.»
«Cosa c’entrano i diavoli con il purgatorio?»
«Niente, ma il posto si trova tra l’inferno e il paradiso. Insieme alle uova al tegamino cotte nella salsa di pomodoro.»
Carlotta intuì un accenno di risentimento, nella voce di Edoardo. Non sapeva da cosa fosse provocato, ma decise di ignorarlo.
«Attento che i contenitori sono roventi. Usa le prese per spostarli» gli disse appoggiando il vassoio sul tavolino. Ne approfittò per dargli un leggero bacio sulla testa.
«Mangiamole belle calde. Il pane morbido è l’ideale per raccogliere il sugo.»
«Incredibile come un piatto così semplice possa essere tanto buono» commentò Edoardo che in breve stava esaurendo le fette di pane e il contenuto del tegamino.
«Salsa di pomodoro buona e uova fresche di galline ruspanti.»
«La vera abilità di una brava cuoca si vede nella semplicità.»
Carlotta prese un pezzetto di pane, lo tocciò ai lati della bocca di Edoardo, sporca di sugo, e lo mangiò.
Quando Carlotta inventava queste cose, le accompagnava sempre con un’espressione che ricordava a Edoardo, se mai lo avesse dimenticato, perché si era innamorato di lei.
«Gli ultimi due flûte» disse Edoardo riempiendoli.
«Poco ma buono» disse Carlotta. «Chissà se nelle sagrestie dell’alta cucina, consigliano il Classese con le uova al pomodoro.»
«Nel nostro purgatorio è consigliato» disse Edoardo, senza disappunto, segno che lo spumante aveva agito beneficamente.

«E adesso il dolce. Questa sera due sole portate: il secondo e il dolce.»
«E due sole bottiglie» rispose Edoardo che prese il cavatappi e la bottiglia di moscato passito che aveva lasciato sul divano. Già che era in piedi, mise nel caminetto, aggiustandoli sugli alari, un paio di grossi pezzi di legna, poi risistemò la protezione antifuoco.

Carlotta tagliò due belle fette dalla torta di castagne e le appoggiò su due piattini. Estrasse la panna semi-montata dal frigo e con un cucchiaio ne prelevò due generosa porzioni che depose in modo da coprire le fette a metà.

Ritornò, i due piattini nelle mani, con il passo leggero e con il sorriso delle donne che amano: Edoardo lo conosceva.
«Che vino hai preso per il dolce?» gli chiese, sedendosi sul tappeto e appoggiando i piattini sul tavolino.
«Come avevi comandato, un prezioso Moscato passito.»
Edoardo, che intanto aveva stappato la bottiglia, riempì a metà i due bicchieri.
«Ecco il meraviglioso risultato di quelle viti: è come mettere un poco di sole nel bicchiere.»
Carlotta si era accoccolata vicino a lui. Avevano messo i cuscini del divano come una sorta di spalliera.
«Alla nostra avventura» disse Carlotta.

«Non sarà un’avventuraaaa, non può essere soltanto una primaveraaa…»

«Infatti siamo all’inizio autunno, ma se continui a cantare così farai venire a nevicare in anticipo.»
«Hai ragione, allora al nostro futuro insieme» disse Edoardo.

Il vino s’accompagnò splendidamente al dolce. Carlotta dovette andare a tagliarne altre due fette e Edoardo versò altre tre volte nei piccoli, ma non troppo, calici. Stavano proprio bene, immersi nelle loro carezze e nei loro baci. Venne anche il momento di mettere altra legna sul fuoco. Edoardo vi sistemò un grosso ciocco. Prese poi un sigaretto da una scatola sull’architrave del camino e lo accese facendogli toccare una parte della brace che ravvivò muovendola con la paletta. Poi intonò:

«Non è un fuoco che col vento può morireee, ma vivrà fino a quando gli occhi miei avran luce per guardare gli occhi tuoiiiii…»

Si avvicinò a Carlotta e terminò di cantare guardandola negli occhi dalla distanza data dai due nasi che si toccavano nelle punte.
Carlotta lo strinse a sé, si distese sui cuscini e lui le si appoggiò sopra. Si baciarono a lungo, con sapore di castagna e di passito.

continua…

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Romanzo È caduto un pilota

È caduto un pilota nel giardino